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#storiedifutsal. Il vento che sposta la palla, tre gol in due minuti. Coincidenze

suarato e boccia [1]“Avevamo giocato con la Samp, avevo fatto tre gol, ero stanchissimo. E già ero in clima derby. Abitavo più in fondo, rispetto a lui, su corso Re Umberto e pensavo di tornare a casa. Mi prendeva in giro, diceva che non avrei mai messo a segno una tripletta contro la Juve, che con la Sampdoria ero stato fortunato. Scherzando, lo mandai dove sapete. Furono le ultime parole che ci dicemmo”. Il racconto è di Nestor Combin. Quella sera se ne andò per sempre Gigi Meroni. A 24 anni, in un incidente d’auto. Anticonformista e anticipatore della rivoluzione del ’68, uno dei più grandi talenti per gli amanti del calcio e per chi, come me, ha vissuto col mito del Toro e della “Farfalla granata”.
Ed in quel derby, che il suo amico del cuore non avrebbe mai voluto giocare la settimana dopo, arrivò una incredibile tripletta. Il gol del 4 a 0 lo segnò Alberto Carelli, indossava la maglia numero 7 di Meroni. Coincidenze.
Una partita di calcio a 5 non è mai finita, lo raccontavo in un editoriale scritto due giorni fa per un magazine, quando da ipotetico tifoso appassionato di calcio, mi trovai proiettato in un palasport, ad un minuto dal termine, con i locali capaci di ribaltare due reti, trovando la giocata del sorpasso a pochi secondi dalla fine. Innamorato poi del pallone a rimbalzo controllato. Coincidenze.
E’ il raccoglimento, la telecamera puntata su di lui, cercando il suo sguardo. E’ il nostro lavoro. Era il suo più caro amico ed io avevo una storia da raccontare. Sul parquet il “debutto” di un 48enne, Guglielmo Loasses. Prima del fischio d’inizio, la richiesta di una foto insieme per immortalare nella mente anni di emozioni. Gli chiedo se posso pubblicarla, per rispetto. “Vai pure, ma a fine partita chiamami. Vorrei parlare io”. Coincidenze.
La partita. Non segna, non ci riesce proprio. Calcia quasi in maniera svogliata, arrabbiata verso la porta. Il suo piede magico si scontra con un muro invisibile. Perché quei gol non dovevano arrivare prima. Gli avversari rimontano, vanno in vantaggio doppio. Poi il primo squillo, per scrollarsi da dosso la paura. Dalla panchina al campo per calciare un rigore, per segnarlo, un gesto verso l’alto e a sedersi ancora. Su quella panchina. Vado a cercare il suo sguardo. Impassibile.
Ma arriva anche il gol del  2 a 4. Mancano due minuti. Sembra impossibile la rimonta, il collega mi sussurra nell’orecchio di una impresa quasi raggiunta dei ragazzi di Capasso. I miei occhi diventano quelli dello spettatore, della telecamera, del cronista. C’è il portiere di movimento, dall’altra parte, adesso. Ogni pallone quasi assume una traiettoria differente, uno va a timbrare il palo, le conclusioni si scontrano con un vento invisibile. Per cambiare direzione. Me lo hanno detto dopo, alcuni ragazzi in campo. Non chiudono la gara. Meno di due minuti. Palla a Suarato, in area. Da fermo, quasi, si gira e segna. Un solo gol da recuperare. Non è nulla. Sai che sta per accadere qualcosa.
Palla a Suarato,  un tiro fantastico sotto la traversa. Niente da fare per il pur bravo Fabiano. “Non è possibile”, me lo dico nella mente, sottovoce, con lo zoom che pesca quello sguardo travolto dal dolore in un volto dipinto dalle lacrime. Il Real San Giuseppe ha pareggiato, c’è un fetta di pubblico che abbraccia e scandisce il suo nome. Mancano 22 secondi, una eternità. Non c’è alcun motivo per lasciare Suarato libero, da solo, in campo. Lo avverto, lo sento. L’Oplontina sa che quella palla non deve arrivare a lui. Ed invece, quel vento silenzioso la porta da lui. Come se una musica fissasse quell’istante, come la rovesciata di Pelè in Fuga per la vittoria, nemmeno una parola tutto intorno, la telecamera a puntare quel gesto, un volto nascosto e pensieroso in tribuna a seguirlo. E’ il gol del sorpasso. A due secondi dalla sirena. I tuoi occhi diventano quelli del cronista immaginario, colui che s’innamora del futsal, parli con la telecamera e con te stesso: “Non ci credo, non ci credo”. Non vuoi crederci. Lino, Lino, Lino! Lo urlano tutti, forse anche gli avversari. Ti tremano le mani, devi andare con lo zoom a pescare ora lo sguardo travolto dalla gioia, una felicità accarezzata da una pioggia di lacrime. Quelle che non può più frenare in campo e nello spogliatoio. Quelle di un’intervista in cui le parole sono rotte da un pianto. Del cronista e del campione. Non ci sono disegni dall’alto. Gigi e Nestor, Antonio e Lino. Tutto il resto è noia, la loro canzone. Coincidenze.