
L’aspetto curioso che accompagna certamente la tornata elettorale fissata per il prossimo 11 gennaio è che i tre candidati in corsa per la poltrona della presidenza della Divisione Calcio a 5 sono tre avvocati. Tra di loro, colui che può vantare la più lunga esperienza nei corridoi del Palazzo è indubbiamente Antonio Dario, 54 anni, oltre la metà dei quali spesi nel mondo del futsal: per lui quella in arrivo sarà la quarta competizione alla quale prenderà parte, la seconda alla carica di presidente, anche se nel 2016 decidette, pochi giorni prima dell’appuntamento con le urne, di confluire nella squadra di Andrea Montemurro diventandone l’elemento decisivo nella competizione contro Alfredo Zaccardi. Chiediamo a Dario di soddisfare questa curiosità.
”Non mi vorrei sbagliare, ma se si facesse una verifica in Parlamento su quali sono le professioni più rappresentate dagli eletti, penso che quella dell’avvocato andrebbe per la maggiore e questo, secondo me, si spiega sul più ampio raggio d’azione che questa professione offre anche a livello di preparazione su temi normativi, rispetto ad altri professionisti più settoriali. Chiaramente poi la libera professione consente una gestione del lavoro più flessibile ed adatta quindi agli impegni extralavorativi”.
L’aspetto normativo, quello che accompagna la presentazione delle candidature alle elezioni della Divisione, prevede l’obbligo di raggiungere un numero di cinquanta deleghe per accreditare il candidato presidente e i suoi delegati assembleari, mentre ne servono 35 per i consiglieri. Non sarebbe il caso di semplificare le procedure, o quantomeno uniformarle, affinché il presidente candidato debba raggiungere un certo quorum per ottenere il via libera per la tornata elettorale ed ovviamente anche le persone che fanno parte della squadra ottengano il medesimo riconoscimento dal collegio elettorale?
”Intanto credo che la modifica, che si è resa necessaria vista la situazione contingente in cui ci troviamo, con la possibilità di raccogliere e depositare le designazioni attraverso lo strumento della PEC, sia stata opportuna così come è stato opportuno l’innalzamento della quota delle designazioni da raccogliere. È chiaro come si tratti di una situazione nuova, che ci ha trovati impreparati, ma in realtà queste modifiche hanno reso un po’ più rigide le modalità e le formalità rispetto agli anni passati, dove non c’era un vero e proprio format o un modulo impostato dalla Divisione o dalla FIGC, ma si raccoglievano le designazioni in fogli o moduli autoprodotti che rischiavano di non essere validi e comunque oggetto di contestazione, come è stato. Quindi, ripeto, condivido il maggior rigore formale cosí come l’aumento delle designazioni per presentare la candidatura alle varie cariche. Al contempo, sulla base dei riscontri raccolti durante le precedenti tornate elettorali, sarebbe a mio avviso opportuno riconoscere, per così dire, un ”premio di maggioranza” al presidente eletto, al fine di garantirgli all’interno del Consiglio Direttivo una parte consistente dei consiglieri che hanno sostenuto il suo programma elettorale. Dodici anni fa, dopo il ballottaggio tra Tonelli e Tosoni si verificó, nel neonato Direttivo, questa situazione di differente provenienza dei consiglieri, ma in quel caso la storia racconta come le cose siano andate sicuramente meglio di come, invece, nell’ultima tornata elettorale”.
Lei arriva da tre mandati, è stato in carica due volte con Tonelli e nell’ultima governance di Montemurro; inoltre è la seconda volta che si presenta per concorrere alla presidenza. Che tipo di Divisone intende concepire sulla base delle sue esperienze?
”Queste esperienze sono state tra loro diverse. La gestione Tonelli è stata, per così dire, tanto autoritaria quanto di grande qualità, di qualità data dall’esperienza e lo spessore del presidente allora riconfermato, ma autoritaria perché condizionata da un vertice che non lasciava troppo spazio ai consiglieri. L’opposto del periodo vissuto con il presidente Montemurro, dirigente però certamente piú giovane e inesperto di cose federali. Quest’ultimo mandato, non pienamente valutabile, vista la situazione di contrasto all’interno venutosi immediatamente a creare e poi la prematura interruzione della attivitá a causa del Covid, non ha espresso appieno le sue potenzialità, in una gestione dove, nonostante tutto, si aveva una maggiore disponibilità da parte del presidente nel lasciare spazio ai consiglieri. Personalmente credo di aver assolto con impegno e serietá i miei incarichi fra i quali la delega ad occuparmi della Serie A maschile negli ultimi tre anni. Con i presidenti abbiamo improntato alcuni progetti riguardanti sia la visibilitá che la rivisitazione dei limiti di partecipazione, del deposito e controllo degli accordi economici e diversi altri temi che purtroppo si sono interrotti bruscamente lo scorso marzo; ma il seme, per una Serie A più organizzata e strutturata, è stato piantato e sono soddisfatto per gli obiettivi finora raggiunti e le interessanti prospettive che ci eravamo dati. Forte di queste due esperienze posso dire che la mia gestione presidenziale dovrebbe mixare l’autorevolezza appresa dalla gestione Tonelli e la disponibilità a coinvolgere i consiglieri, nonché l’entusiasmo, ereditati dalla gestione Montemurro. È chiaro che nella squadra dei consiglieri ognuno ha un suo diverso percorso formativo, per alcuni settorializzato, per altri più tecnico, per alcuni a livello dirigenziale, anche dal campo di gioco e dal mondo femminile: ma una cosa certa è che la squadra deve essere diversificata e bisogna saper trarre il meglio da ciascuno elemento coinvolto”.
Uno degli argomenti più chiamati in causa in tutte le competizioni elettorali, ma poi puntualmente marginalizzato, riguarda quelle consulte che lei, a livello di Serie A, ha ben saputo coordinare nell’ultimo quadriennio. Un’esperienza che deve insegnare…
”Uno degli errori più grossi commesso negli ultimi anni, è stato l’abbandono del dialogo con le società che invece nel lontano passato aveva dato riscontri soddisfacenti. Le consulte di categoria sono uno strumento efficace, il contatto chiaramente non può esserci con tutte le società. Con i vari rappresentanti di ciascun girone si può, invece, impostare un percorso di lavoro costante. Ogni categoria, ogni girone, ha differenti problematiche, così tra Nord, Centro e Sud. Il bravo presidente è colui che è capace di ascoltare, sintetizzare, decidere e ammettere eventuali errori, commessi in buona fede, cercando di correggere e intervenire. Il ragionamento che ho fatto non è astratto. Ovviamente nella sola Serie A è venuto tutto più facile, visto il numero ridotto di società. Sono state fatte riunioni a cadenza bimensile, a seconda delle esigenze, e oggi che abbiamo anche scoperto lo strumento delle video conferenze, in pochi giorni è possibile organizzarsi, mettersi in contatto e discutere a distanza. Le consulte sono state utili e molto apprezzate, al di là di quello che poi è successo, anche sul finire della stagione scorsa ”.
Il nostro riferimento è però la sostanziale inutilità degli incontri che hanno visto gli otto consiglieri discutere con tutte le società sul programma da presentare in Consiglio della Lega Nazionale Dilettanti per la chiusura della passata stagione: nulla venne accolto dal quarto piano.
”Quanto proposto dalle società, e quindi dalla Divisione, ha dovuto scontrarsi poi con quanto è stato determinato in FIGC e poi in Lega: lì non dipendeva più dalla Divisione stessa che aveva portato determinate istanze”.
Nella sua campagna pre-elettorale, ascoltando le società, si è fatto un’idea di dove vuole andare questo futsal in base alle richieste che le stesse società hanno manifestato? Su cosa vertono in particolare, soprattutto quelle delle società più piccole del nazionale, ma anche del regionale?
”Le difficoltá maggiori riguardano le categorie minori, che sono quelle che soffrono di più per il salto dal regionale al nazionale, perché se si eccettuano alcune regioni, il livello economico, tecnico ed organizzativo deiii campionati ragionali è oggettivamente inferiore. Quando una società, quindi, fa il salto di categoria, si trova tanti ostacoli di fronte. Il primo, immediato, l’organizzazione delle trasferte. È chiaro che per chi è inserito nei gironi dove sono previsti voli aerei o distanze importanti fra le regioni, il tutto diventa più difficile da pianificare, economicamente e logisticamente. Un’idea per venire incontro a queste difficoltá noi ce l’abbiamo, ossia costituire un ’fondo perequativo’, messo a disposizione delle società alle prese con costi superiori rispetto alla media generale; fondo al quale poter attingere nella ipotesi di inserimento in gironi per così dire penalizzanti dal punto di vista degli spostamenti. Questo fondo potrebbe essere alimentato trattenendo una piccola quota dall’acconto spese che le società depositano all’atto dell’iscrizione. Un’altra parte dovrebbe essere prevista dalla Divisione nel suo PEPO (il Piano Economico di Programmazione per Obiettivi, n.d.c.) e un’altra infine potrebbe arrivare dalle ammende che nel corso della stagione vengono inflitte alle societá, in caso di mancata presentazione ad una o più partite. Un altro problema – sottolinea Dario – è legato al settore giovanile, visto che le società che arrivano nel nazionale si trovano con determinate obbligatorietà nel dover organizzare le squadre under e le difficoltà sono enormi se non sono supportate dal proprio comitato di provenienza nel quale, per svariate ragioni, l’attivitá giovanile non è sviluppata. In realtá ció che le societá vedono molto spesso solo come un obbligo da assolvere per evitare di pagare un’ammenda, dovrebbe essere inteso invece come uno strumento di sviluppo o un mezzo per dare solidità ad un progetto societario. Progetto societario basato sulla attivitá giovanile che andrebbe premiato quando la societá riesce ad iscrivere tutta la filiera delle squadre giovanili, a tesserare un certo numero di atleti, consegue risultati sportivi con le squadre e/o con i singoli atleti che vengono fatti esordire in prima squadra. Ad una logica degli obblighi affiancare, fino a sostituirla, quella della premialitá”.
Un discorso a parte merita la questione-impianti…
”Le problematiche legate all’impiantistica sono tra le esigenze che non vanno trascurate. Il grande gap che abbiamo con le due nazioni europee che prendo come riferimento, ossia Spagna e Portogallo, riguarda proprio e solamente l’impiantistica. La politica sociale di investimenti pianificata dai governi in queste due nazioni nei decenni precedenti, è stata completamente diversa da quella dei nostri governi. A loro hanno consegnato una situazione strutturale favorevole, al contrario della nostra. Qualora venissi eletto, lo ribadisco, fra le prime cose che vorrei fare c’è l’impegno per un censimento degli impianti sportivi esistenti. Vorrei capire la realtà della situazione che i territori hanno a disposizione, perché sono convinto che in determinati casi le cose, forse, stanno meglio di come pensiamo. Se poi ci sono impianti che rimangono chiusi per volere di Regioni, Province o Comuni, che magari hanno messo una croce sull’attività del calcio a cinque, è in quel momento che la Divisione deve essere al fianco delle società per intervenire a livello locale e sdoganare il futsal, facendogli riconoscere il titolo di sport indoor per eccellenza al quale vanno riservate le maggiori attenzioni in sede di progetto di nuova impiantistica e di utilizzo di quella esistente. Tutto questo lo vedo come un modo concreto per dire alle società ’Non temete perché c’è possibilità di aiuto’”.
Oltre a queste problematiche ne inseriremo un’altra, legata alla ”materia prima”. Il calcio a cinque è risaputo che si sviluppa con maggior facilità nelle piccole comunità, proprio dove si hanno difficoltà a reperire giocatori per alimentare i settori giovanili. Molte società si sono lamentate della multa salata che viene applicata per la mancata partecipazione al campionato Under 19. Se una società deve confrontarsi anche con il problema demografico, il tema va riportato sul singolo territorio, fermo restando che nei settori giovanili del futsal si brilla quasi sempre di luce riflessa, con tanti giocatori che sono degli autentici esodati del calcio a undici…
”Tutti questi ragionamenti partono da un errore di fondo ed è quello di considerare l’Under 19 come attività giovanile. Condivido che l’obbligatorietà per questa categoria vada rivista e riteniamo che potrebbe essere strutturato un campionato d’Elite, al quale partecipino prioritariamente le squadre di Serie A e di A2. Si potrebbe togliere l’obbligo per la Serie B, il che non vuol dire togliere la possibilità di partecipare se viene richiesto perché si hanno le reali capacità e, come si è detto, la materia prima. Forse, però, sarebbe meglio che i club cadetti si concentrassero sulla strutturazione dei settori giovanili, a partire dall’attività di base. Questo agevolerebbe la qualificazione del campionato che oggi, pur esaltando un grande numero di partecipanti, pecca in termini di qualità e non aiuta la crescita dei ragazzi. La crescita dell’atleta va agevolata con la qualità della competizione, con la difficolta del confronto. Gli esempi di societá virtuose e molto performanti sull’attivitá giovanile ci sono e bisogna farne un modello, proponendolo ed adattandolo dove c’è la necessità”.
Cancellare l’obbligatorietà potrebbe diventare uno strumento propositivo, specie in un momento storico come questo, in grado di togliere i paletti alla programmazione futura. Plasmare i giovani dentro casa non vuol dire, tuttavia, rinunciare a mandare in campo anche una squadra riserve. Si potrebbe seguire e replicare le possibilità che offrono modelli all’estero, vedi la Liga spagnola…
”Della seconda squadra, come accade nei grossi club, ne ho sempre parlato in termini positivi. Barça, e soprattutto ElPozo nell’ultimo periodo, ne sono alcuni esempi. La rosa di ElPozo, oggi, è composta da giocatori che hanno vinto il campionato di Segunda. La mia formula? Introdurrei la rosa della prima squadra, per la Serie A maschile e femminile. Questo vuol dire che invece di controllare i limiti di partecipazione sulla lista gara, bisogna fare riferimento alla rosa della prima squadra ad inizio anno: in questo modo le prime due categorie potranno esprimere al massimo il valore di questo sport. Questo aspetto legato alla rosa è mutuato da quanto richiesto dalla Uefa alle società che partecipano alla Champions. E con la rosa allargata a diciotto giocatori, verrebbero tutelate sia le societá con forti ambizioni in Europa sia quelle che coltivano anche l’attività giovanile. La vedo così perché ai nostri campionati di vertice dobbiamo dare maggiore visibilità, che ricadrà sulle altre categorie, consentendoci anche di poter parlare forse presto di diritti televisivi, perché il campionato diventerebbe chiaramente più appetibile per il pubblico, per le tv e quindi per gli sponsor”.
Il passaggio al professionismo potrebbe essere lo step immediatamente successivo…
”Non sono pienamente d’accordo, quella del professionismo è una strada che oggi in Italia pochissime federazioni si possono permettere. C’è bisogno ancora di maturazione complessiva da questo punto di vista. In realtà prima ancora dei giocatori, è la società che deve avere nel suo interno delle figure professionali. Dobbiamo perseguire questo obiettivo alzando la qualitá dell’organizzazione societaria. Tanto per fare un esempio almeno la metá dei club di Serie A maschile e femminile non hanno la forma giuridica della societá di capitali, iniziando poi a limare le differenze, oggi piuttosto elevate, tra la A maschile e femminile e l’A2 maschile, con una serie B maschile e A2 femminile che dovrebbero diventare i campionati-palestra per le giovani leve piuttosto che rendere obbligatori giocatori in quota Under 19, portare le società maschili a partecipare alla Serie B con squadre con più giovani possibili indipendentemente dal numero dei formati”.
Si è sempre coltivata un’idea di una categoria intermedia tra la B e la C, una B2 che faccia da ammortizzatore nel passaggio tra regionale e nazionale, cercando anche di salvaguardare le società davanti alle problematiche che il più delle volte diventano ostacoli insormontabili già nell’approccio al nazionale. Tra queste anche le limitazioni legate all’impiantistica visto che in molte regioni si gioca ancora all’aperto e le difficoltà per reperire impianti al coperto parecchie volte si trasforma in un ostacolo.
”Gianluca Fea, il presidente dell’Aosta, un amico che vive questo sport da tantissimi anni, forse uno dei piú anziani, ha sempre sostenuto questo tipo di idea. Personalmente non la escludo. Giocare all’aperto? Si potrebbe concedere un anno di deroga, dopo la verifica di cui sopra sulla eventuale indisponibilità temporanea di una struttura al coperto, un lasso di tempo sufficiente per fare fronte a questa esigenza, ma non deve passare il messaggio che in un’eventuale B2 si possa giocare all’aperto: in questo arco di tempo le società devono strutturarsi da questo punto di vista. Anche perché i quattro gironi di A2 e gli otto di B non mi sembra soddisfino appieno le esigenze dei nostri campionati. Atteso il gran numero di squadre raggiunto, inserendo una categoria intermedia, si potrebbe venire incontro alle aspettative di quelle società che nell’attuale Serie B soffrono e di quelle che, provenendo dal regionale, troverebbero una realtà meno complicata una volta salutata la Serie C”.
Come si pone sulla volontà manifestata da 170 società di arrivare alla scissione dalla LND?
”Credo che si faccia confusione tra l’obiettivo, che è l’autonomia e che anche io desidero, e sul mezzo per ottenerla. Il problema è quello di poter esercitare l’autonomia, che oggi è scritta, c’è nei regolamenti, ma non viene esercitata pienamente. Quello che mi lascia dei dubbi sulla scissione, così come ventilata sul modello della Divisione femminile, è che l’inquadramento sotto la FIGC non potendo riguardare tutto quanto il movimento (sono oltre 220 le societá del nazionale, n.d.c.), aumenterebbe troppo le distanze fra quelle che sbarcherebbero in FIGC, quelle che rimarrebbero in LND e la parte più sostanziosa del movimento che è nei comitati regionali. L’obiettivo però è la Lega Futsal, che consentirebbe di gestire la disciplina in tutti i suoi numeri che sono quelli che danno peso e forza alla governance di qualsiasi organizzazione”.
L’ultimo argomento: un giudizio sulla squadra che sosterrà il percorso elettorale di Antonio Dario.
”Questa squadra è stata fortemente voluta da me, composta da tutte persone che conosco da tempo e delle quali conosco il singolo percorso individuale e sportivo. Sono convinto che ciascuno di loro possa trasmettere dei valori. Alessandro Di Berardino ha seguito un percorso federale anche da responsabile regionale, cosa molto importante per me, perché conoscere il mondo del regionale significa capire su quali cose e come c’è bisogno di intervenire in un rinnovato spirito di collaborazione con i Comitati Regionali. Luca Fadda ha già avuto un percorso quadriennale federale ed è stato anche presidente societario, nel maschile e nel femminile, peraltro nazionali. Nino Mallamaci è un dirigente storico, presente nel nostro mondo da tantissimi anni, sempre a stretto contatto con le problematiche delle società e le loro componenti e come lui Marcello Maruccia, in una realtá del Nord con caratteristiche diverse. Nino Crapulli porta con sé l’esperienza da team manager della Nazionale nell’ambito di un percorso federale di otto anni; poi c’é Maria Lucarelli che, seppure la meno esperta, rappresenta l’elemento femminile imprescindibile ormai in un consiglio direttivo. Una ragazza con un grande desiderio di cimentarsi e con grande forza d’animo che intende mettersi a disposizione e potrá essere molto utile per avere un dialogo piú aperto e diretto con il mondo rosa, che lei ha vissuto cosí intensamente come giocatrice. Poi Alessandro Angelucci, dirigente di lungo corso di società che ha maturato esperienza nella vita dei club delle varie categorie. Infine, Roberto Marchesi, la persona che io negli ultimi anni ho identificato come l’immagine e la voce del futsal quando siamo approdati su Sky qualche anno fa, raggiungendo il massimo della esposizione mediatica. Con lui naturalmente mi sento al sicuro per tutti quei progetti sul tema cruciale della visibilità. Trovo che questa squadra possa rappresentare il giusto mix di esperienza federale, la mia in particolare, fatta di dodici anni di impegno e presenza ed arrivata anche in ambito internazionale con l’incarico, negli ultimi tre anni, di delegato Uefa, una esperienza che mi ha consentito e consente di conoscere le realtà degli altri Paesi e di instaurare proficui rapporti internazionali. E poi l’esperienza di alcuni ex consiglieri e quella sul campo di tutti gli altri miei colleghi e colleghe, provenienti dalle diverse realtà territoriali e, dunque, molto vicini alle società in quasi ogni regione d’Italia. Perché questa vuole essere la connotazione principale della mia squadra: la rappresentatività dell’intero territorio nazionale”.
Fonte: calcioa5anteprima.com